Pittura italiana dal pieno Seicento al primo Settecento

Questa sala raggruppa opere provenienti da diversi centri artistici italiani, dal Veneto fino alla Sicilia, privilegiando però le tendenze più naturaliste e sperimentali rispetto al classicismo aulico dominante soprattutto nel centro principale, Roma.
Ancora alla prima metà del secolo appartiene il più importante pittore siciliano del Seicento, Pietro Novelli. L'artista riesce a fondere in uno stile personale una grande varietà di suggestioni, tra le quali dominano le lezioni di Van Dyck e dei caravaggeschi napoletani.
Particolarmente sentita era l'influenza fiamminga a Genova dove, oltre a Rubens e allo stesso Van Dyck, operò una folta schiera di pittori nordici. Con la loro abilità nella pittura di paesaggio, di animali e di nature morte, essi riscuotevano un grande successo presso la committenza nobile ed indussero anche i pittori locali ad affrontare simili soggetti in chiave naturalistica; tra questi era Anton Maria Vassallo, noto per la sua produzione di scene rustiche e mitologiche, di cui è esposto un tipico esempio.
La pittura veneziana di pieno Seicento è invece rappresentata da un piccolo dipinto riferibile all'ambito di Sebastiano Mazzoni. All'interno di una cultura pittorica ancora fortemente condizionata dalla grande tradizione cinquecentesca, questo artista stravagante appartiene alla corrente più sfrenatamente barocca, introdotta nella laguna da tre "forestieri", il romano Domenico Fetti, il tedesco Johann Liss e il genovese Bernardo Strozzi.
Lo spazio più ampio è riservato però alla scuola bolognese, che mantiene anche nella seconda metà del Seicento il prestigio internazionale acquisito grazie ai Carracci e alla generazione dei loro allievi.
In questo periodo, la figura forse più emblematica della pittura bolognese è Lorenzo Pasinelli, rappresentato qui da un piccolo chiaroscuro con un Concerto di angeli: con il suo moderato aggiornamento della tradizione classicista in senso barocco e neoveneto, ma anche grazie alla capacità di variare il linguaggio a seconda dell'occasione, assume una posizione mediatrice tra le varie correnti e diventa il principale punto di riferimento per quasi tutti i pittori più giovani. Nell'orbita pasinelliana si muove anche l'autore della bella Carità romana, di difficile attribuzione, ma palesemente di ambito bolognese.
Sensibile alla lezione di Pasinelli si mostra nei suoi esordi pure Giuseppe Maria Crespi, l'artista più eccentrico e originale del tardo barocco bolognese. Attraverso una rimeditazione sui grandi maestri, soprattutto i veneziani e Ludovico Carracci, giunge ad uno stile personalissimo, caratterizzato da pittura di tocco e chiaroscuri foschi e atmosferici, che gli permette di affrontare i suoi temi - dalla pala d'altare al ritratto, fino alla scena di genere e alla natura morta - con un realismo di grande immediatezza, espressività e partecipazione, qualità ben esemplificate nelle due opere tarde qui esposte. Umori crepuscolari non del tutto dissimili appaiono nei tre grandi Paesaggi che, non a caso, sono stati a lungo attribuiti al Crespi; appartengono più probabilmente al soggiorno bolognese di Antonio Francesco Peruzzini, pittore di origine marchigiana che, collaborando con Sebastiano Ricci e poi a lungo con Alessandro Magnasco, diede un importante contributo all'evoluzione del paesaggio settecentesco. L'arte dello stesso Magnasco, nato a Genova, ma attivo poi come il Peruzzini (e assieme a questi) in Toscana e soprattutto a Milano, è rappresentata dall'opera di un seguace, eseguita ad imitazione dei Crocifissi tenebrosi del maestro. L'esperienza del Magnasco è, nell'inclinazione realista e negli aspetti formali, per molti versi parallela a quella del Crespi, ma con una tendenza al grottesco e al fantastico e un tono spesso sferzante e spersonalizzante.
Gli autori della coppia di dipinti con Putti e frutta, Antonio Amorosi e lo Spadino (Giovanni Paolo Castelli), appartengono all'ambiente antiaccademico romano, in cui è sempre forte la presenza dei fiamminghi e che coltiva, in polemica con la dottrina classicista ufficiale, le „bambocciate" (scene di vita popolare) e la natura morta.
Il soffitto, risalente come le sale precedenti al momento dell'arrivo a Bologna dei Francesi (1796), mostra una decorazione di gusto francese con un finto velario attribuita al quadraturista Serafino Barozzi (1735-1810) con la collaborazione dell'ornatista Francesco Santini (1763-1840).