Il primo Seicento a Bologna e in Emilia-Romagna L'avvento dei Carracci, che intorno al 1582 fondano l'Accademia dei Desiderosi (poi degli Incamminati), segna un cambiamento storico nella pittura bolognese.
La loro "riforma" è basata sullo studio della natura, sul disegno dal vero, sul recupero di una parte della tradizione cinquecentesca dell'Italia settentrionale, incline al naturalismo: in particolare la sensibilità del Correggio e il cromatismo dei Veneziani.
Per quasi due secoli l'arte dei Carracci rimarrà il modello più autorevole per i pittori non solo bolognesi, contribuendo in maniera decisiva alla formazione della pittura classicista e barocca in Italia e in Europa.
Del più anziano Ludovico è esposta la pala d'altare raffigurante Santa Caterina d'Alessandria riceve in carcere la visita dell'imperatrice Faustina, un'opera del periodo maturo dell'artista.
Il periodo romano di Annibale è invece rappresentato dal San Francesco in preghiera, eseguito da uno scolaro ma direttamente ispirato dai paesaggi classicheggianti del maestro. Alessandro Tiarini, presente con una deliziosa Annunciazione. Egli fa parte di quei pittori che, senza essersi formati nell'Accademia degli Incamminati, subirono il fascino delle novità carraccesche.
Un modello imprescindibile sarebbe divenuto Guido Reni, rientrato a Bologna nel 1614 dopo un intenso periodo di attività nella capitale romana. La corrente che si ispira a lui.
È qui rappresentata da due dipinti con Apollo e Diana dell'allievo fiammingo Michele Desubleo.
Si richiama a questi anche il romagnolo Guido Cagnacci nella sua splendida Cleopatra, la cui sensualità raffinata è tuttavia ben lontana dall'idealismo astratto del Reni.
Nel panorama esclusivamente emiliano-romagnolo di questa sala spicca una presenza straniera: l'anonimo "Maestro del lume di candela", tardo rappresentante di quel caravaggismo di matrice nordica che ebbe grande successo a Roma nei primi decenni del Seicento.
La decorazione del soffitto, risalente all'arrivo a Bologna dei Francesi (1796-97), è attribuita al quadraturista Serafino Barozzi (1735-1810) e a Filippo Pedrini (1763-1856) per le figure.